Trama
Nella mitica Nofi di tanti racconti di Rea, nel remoto medioevo degli anni precedenti l’ultima guerra mondiale, in un umile basso del miserabile quartiere del Buvero, ha inizio l’educazione sentimentale di Miluzza, l’adolescente poco più che bambina, protagonista di questo romanzo. Disgrazie della virtù e fortune del vizio, in un pezzo di mondo tra paradiso e inferno perduto, incrociano trappole sul suo impervio cammino. Ma Miluzza, che è pura vita, puro istinto, puro candore alla deriva, le attraversa tutte con intrepida innocenza.
“Ninfa Plebea” è il secondo romanzo della quasi cinquantennale carriera di Domenico Rea, ed è forse il libro che meglio ne rappresenta gli umori inconfondibili, la grande carica vitale, l’animo fieramente aristocraticamente popolare. Narrandoci la storia di Miluzza, e il formicolare di esistenze che le ruotano attorno come satelliti di un astro solitario, Rea spalanca una porta nascosta sul passato italiano che si vorrebbe censurare. Ne scruta ogni angolo, fruga nella corporeità debordante di ogni atto, di ogni parola, solleva con impietosa pietas i veli tessuti in così pochi anni da una memoria fraudolenta.
Un breve ma poderoso affresco: il ritratto veridico di un’epoca e di un mondo che soltanto la maestria di un grande affabulatore alla Basile poteva comporre.
Considerato uno tra i romanzi capolavori della letteratura italiana. Nelle scuole non si parla di questo autore, ma l'ho scoperto all'università al corso di letteratura italiana moderna e contemporanea. Probabilmente un target troppo elevato per i miei gusti di lettura, non ho provato molte sensazioni mentre leggevo. Però devo dire che sul finale ho avuto consapevolezze riguardo a cui avevo dato un peso minore nelle pagine precedenti. Parlo di pagine perché il libro non è strutturato in capitoli, è un racconto scritto in 150 pagine con un registro linguistico che rimanda ad una corrente letteraria contemporanea quanto precedente alla nostra generazione.
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